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Ulivi sentinelle, asfodeli letterari ed asparagi selvatici
- 9 Marzo 2021
- Pubblicato da: Francesco Angiulli
- Categoria: Natura
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Riceviamo e pubblichiamo i pensieri e le emozioni di Maria Teresa, una nostra follower che domenica scorsa ha voluto condividere con noi un nuovo itinerario tra cielo e terra nella campagna di Monopoli.
Buona lettura.
ULIVI SENTINELLE, ASFODELI LETTERARI ED ASPARAGI SELVATICI (di Maria Teresa Spota)
E ‘stata una serena mattinata nella natura domenica scorsa, tra cielo e terra un momento di tregua dalla pazza quotidianità.
Il punto di ritrovo all’ingresso della masseria Conchia con il bianco accecante della pietra intonacata promette sorprese interessanti.
Cominciamo il cammino sul lungo viale tra gli ulivi centenari che accoglie il visitatore nell’abbraccio di prati gialli e bianchi a perdita d’occhio. Minuscole farfalle mimetizzate tra i petali movimentano il quadro con il loro volo leggero.
Sullo sfondo le discontinue linee grigie verticali della Murgia SudBarese.
Gli ulivi lungo il viale si ergono imponenti con le loro statuarie forme tortuose.
Carrubi rigogliosi punteggiano i campi ricordando tempi in cui il cioccolato era un lusso raro ed i vecchi mangiavano le carrube per l’energia dello zucchero.
La passeggiata è dolce, serena, le nubi bianche si rincorrono in un orizzonte contadino ma mai addomesticato.
Gli ulivi, infatti, potati, curati, coccolati, circondati da terra battuta pulita e rossa, ci ricordano severi che sono loro a dettare la legge dell’olio, l’oro di Puglia da secoli.
Ulivo che respira tra terra e cielo, maestoso ed umano, con quel suo attorcigliarsi e contorcersi di uomo ferito, creatura inerme e sofferente, pulsante nella sua corteccia dura.
La masseria dalle alte mura bianche sorprende con un salto nel passato. Bianchi gigli borbonici e bianchi capitelli a forma di piramide accennano a simboli di una storia da scoprire.
Una vergine che si scopre essere piuttosto una santa dai trascorsi di facili costumi ancora una volta ci riconduce alla nostra umanità, al senso della terra che nella miseria e nobiltà umana, al di là di ogni religiosa idealizzazione rispetta la natura, anche nell’uomo.
Comincia la salita , un po’ faticosa a dire il vero, un po’ sconnessa, ma certo con panorami di rara bellezza. Un nuovo orizzonte: vasto mare di ulivi e macchia mediterranea, giallo di ginestre, bianco di masserie sparse declina dolcemente verso il mare blu.
Il Cristo della panoramica osserva benevolo chi arriva sulla cima e chi si ferma a valle senza preferenze.
La nostra passeggiata si insinua poi nello scrigno di una grotta carsica, completa di stalattite che gocciola per poi inerpicarsi nella suggestione pastorale di uno iazzo usato per il riparo delle bestie e dei loro custodi. La serapia, orchidea sinuosa con il suo colore elegante e quasi fuori luogo, rischia di essere calpestata da noi ignari pellegrini della natura. Ma Francesco, la nostra guida, è già corso in suo soccorso, e mentre ce ne spiega le caratteristica, la protegge con le mani ricordandoci la fragilità di ciò che ci circonda.
Nel corso della nostra lenta discesa la natura ci offre una generosa citazione letteraria: tra brulli campi scoscesi e rocce grigio ocra spunta un campo di asfodeli, fiore cantato da Omero come pianta degli Inferi. Fiore pallido dalla perfetta geometria, apparentemente semplice ma stranamente fascinoso che incanta con evocazioni del passato mitico.
Mi guardo attorno: i miei colleghi pellegrini della natura sembrano molto più interessati ai teneri asparagi che crescono tranquilli lugo i muretti a secco e tra le radici degli alberi di ulivo. Evidentemente va bene Omero ma si è fatta una certa ed il richiamo di una frittatina dal sapore selvatico distrae più d’uno.
Grazie Francesco e grazie #CoopSerapia per questa bella esperienza.
(Foto di Maria Teresa Spota)